sabato 31 maggio 2014

Dietro il costume



“… l’abito non fa il monaco, il velo non fa la monaca, la veste non fa il dottore, la tonsura non fa il prete, …” questi sono solo alcuni dei moltissimi modi di dire che hanno come soggetto principale: “il colpo d’occhio”, l’apparenza, la famosa frase: “… a prima vista, sembra essere …”



Anche se  tutti questi proverbi possono essere veritieri per la vita reale, c’è un luogo dove l’abito PUÒ essere il biglietto da visita del personaggio che lo indossa, questo luogo è l’arte. Soprattutto una forma molto antica di arte: il teatro.
Infatti è proprio nel teatro che spesso il costume, l’abito, prende importanza soprattutto per la caratterizzazione di personaggi o come oggetto simbolo, utile in un modo o nell’altro allo svolgimento della storia: comunque importante. Questa importanza deriva direttamente dalla comunicatività sempre visiva che in sé ha la moda stessa, il che è una qualità che è perfettamente in sintonia con le varie tipologie di comunicatività che ha la forma d’arte teatrale.
Da qui potremmo anche tirare fuori, matematicamente parlando, una specie di proprietà: come per il costume è importante la moda così a sua volta per il teatro è molto importante il costume.
Certo il costume è solo uno dei tanti elementi che compongono uno spettacolo teatrale, ma è il PRIMO impatto, è ciò che può far ricordare un personaggio,  ciò che lo può caratterizzare o addirittura che lo fa codificare. In poche parole, è il biglietto da visita di un personaggio. Il costume può dire tutto o niente, nel senso che i costumi possono svelare la vera e pura essenza della storia, o al contrario celarla, raccontano la vicenda nella sua parte più implicita, ma al contrario danno indizi utili alla storia stessa, utili per una riflessione sul personaggio o sull’autore dell’opera. Il costume può essere un rebus da decifrare o un piccolo quadro decorativo che però non deve essere mai trascurato, perché sotto le pennellate dell’autore può sempre nascondersi una mappa del tesoro.

“Non è raro che un elemento del vestiario possa diventare congegno drammaturgico, motore di tutto l’intreccio comico”  (Paola Bignami, Storia del costume teatrale. Oggetti per esibirsi nello spettacolo e in società, Crocci editore, Roma 2005-2008, p.27)

È  facile cadere in un’ affermazione: “se in uno spettacolo teatrale basta avere un attore con un testo e qualcuno che lo ascolta, di tutto il resto (quindi anche il costume) si può fare a meno”.
La non veridicità di questa frase sta nel fatto che non si sono presi in considerazione molti altri fattori,  primo fra tutti, l’immedesimazione dello spettatore, dato dalla messa in scena che fa credere che ciò che si sta guardando stia accadendo realmente. In una frase, trasformando nel teatro il soggetto di ciò che il regista Giuseppe Ferrara disse per il cinema, si potrebbe affermare: il teatro deve addormentare la coscienza dello spettatore (Giuseppe Ferrara, Manuale di regia, Editori Riuniti, Roma 2004 ,p.24). 
Il costume è uno di quegli elementi che portano a ciò; si potrà ora dire che esso non è elemento superfluo, non è un surplus, quindi, come ben sa chi opera nel settore: “il costume non è abito, il costume compone il personaggio in sé”. 

Piccolo consiglio personale: provate anche voi a capire e interpretare un personaggio del cinema, del teatro o della letteratura attraverso il suo abbigliamento, rimarrete sorpresi da come tutto vi sarà improvvisamente più chiaro.


Danny



                   In collaborazione con: http://www.ilmartino.it/index.php/rubriche/retroscena

mercoledì 28 maggio 2014

Tutti per uno e il regista per tutti

Oggi ho deciso di provare a sfatare un mito che continua ad aleggiare tra le persone che entrano in una sala cinematografica o vedono un film comodamente seduti sul proprio sofà.  Come farà mai un semplice essere umano a realizzare un colossal come Avatar, Titanic, Via con vento, Aramgeddon. È un’impresa umanamente impossibile! È la pura verità: è impossibile che una persona chiamata comunemente regista possa fare ciò. 

Ora, se questa rubrica, dovesse incappare per sbaglio, tra le mani di uno di quei registi megalomani, sicuramente riceverebbe un’infinità di critiche. Un film non è mai un lavoro individuale, un film è sempre un vero e proprio lavoro di squadra, dove ogni più piccolo “elemento” è estremamente fondamentale per la buona riuscita del prodotto. Basterebbe che un semplice ciacchista sbagliasse a scrivere il ciak per mandare in tilt il montatore, il regista, lo sceneggiatore e chi più ne ha più ne metta (senza ricordare che una figura “piccola” come il ciacchista ha tra le sue mani uno dei simboli maggiori del cinema) . 
“Il regista è colui che organizza il senso audiovisivo del film”(cit. Guido Chiesa)  è questa la realtà dei fatti. Il regista tramite la sua personale visione decide: fotografia, inquadrature, attori (anche se molto spesso non li sceglie mai da solo), come essi debbano recitare o muoversi in scena. Tutto ciò sulla base di un qualcosa che in molti  casi non è nemmeno stato scritto da lui, ma che deve “semplicemente” fare proprio. In qualche modo lo spettatore vede attraverso i suoi occhi ed ovviamente vede solo ciò che il regista ha deciso di mostrargli, ma queste immagini non sarebbe possibile averle  senza la storia dello sceneggiatore, le luci del direttore della fotografia, l’audio  del fonico, la meticolosità della segretaria di edizione, il montaggio del montatore e tutte le altre persone che lavorano alla realizzazione del prodotto finito. Una lista lunghissima tanto quanto i titoli di coda che arriva fino al semplice, ma non meno importante, ragazzo runner che tiene sotto controllo il materiale incustodito o vola a comprare un cacciavite a stella fondamentale per poter girare la prossima inquadratura. Ovviamente ognuna di queste parti inserisce qualcosa di sé all’interno  dell’ opera cinematografica creando, così, con quella del regista, un mix perfetto che porta il film ad essere ciò che è. Cos’è allora un film se non l’insieme di tante teste che, ognuna attraverso la loro competenza, si esprimono  nella  visione del regista? Infatti (come dico sempre io) il film rispecchierà, anche se inconsciamente, l’atmosfera che si può respirare su un set:  se c’è stata ansia, allegria, complicità, lacrime, tensione, tutto sarà all’interno della “pellicola” e tutto sarà recepito da chi guarda a sua insaputa. Un buon film parte da una buona complicità ed intesa  della Troupe molto prima della  bravura di ogni singolo componente.
Mi raccomando allora, la prossima volta che entrerete in un cinema, fate i complimenti al regista, ma non dimenticate che il film non è solo suo.

Danny


martedì 27 maggio 2014

Cercasi Attori ed Attrici per compagnia teatrale



La A&D sta cercando 6 attrici e 4 attori per mettere su compagnia teatrale per la realizzazione di uno spettacolo teatrale professionale da portare in Calabria/Abruzzo con prove a Roma (rimborso spese incluse per il viaggio e il soggiorno). Possibilità di repliche e di portarlo in altri teatri Italiani, le prove inizieranno a settembre/ottobre per cercare di portarlo in scena nel periodo natalizio/gennaio. Per info contattateci privatamente per e-mail su Facebook  o commentando qui sotto (e-mail: ad.movie17@gmail.com)... vi aspettiamo numerosi!!!!

Recensione/Consiglio: "The Houseboy"


“… ragazzi che si fanno mantenere da coppie omosessuali, vivendo con loro e curando le faccende domestiche e … sessuali. Spesso infatti capita che dal “contratto” nasca una vera relazione a tre.”
 
“The Houseboy”  con la regia di Massimo Stinco è una rappresentazione teatrale ispirato al film omonimo di Spencer Schilly. Rappresentazione cruda e toccante di una realtà di cui spesso non si conosce nemmeno l’esistenza” . Uno spettacolo vietato ai minorenni, ma che forse ognuno di noi dovrebbe guardare almeno una volta nella vita. Stimolante e riflessivo questa compagnia con il loro regista sono riusciti a rappresentare perfettamente la psicologia e le travagliate vicende di un giovane che voleva buttare la sua vita in un cestino come un comunissimo pezzo di carta stracciato ed usato più volte.  Ottima recitazione da parte degli attori (che meritano almeno di essere citati: Silvio Impegnoso, Dario Tucci, Giorgio Volpe, Fabio Cannarozzo, Jacopo Guidoni, Massimo Stinco, Natale Calabrò, Alberto Mosca) che si sono messi audacemente  e letteralmente a nudo di fronte al pubblico. Una nudità però non spinta e forzata, ma atta a creare la giusta atmosfera “nera”  che permette di dare allo spettatore un contesto ed uno sguardo più squallido rispetto a ciò che invece l’amore puro offre  al solo occhio di chi guarda. Forse alcune scene fin troppo spinte, ma perdonabili rispetto alla morale e a tutto ciò che in questo spettacolo sono riusciti a creare con molto poco. Ansia, pesantezza interiore e sguardi di uomini giovani e non che sembrano aver perso ogni riferimento alla propria umanità e alle proprie emozioni, perfettamente spezzate a tratti da piccole parentesi comiche e molto ben giocate da parte, soprattutto, di una drag queen spiritosa, ironica e che, personalmente, mi ha ricordato i fantasmi del passato, presente e futuro del famoso racconto “A Christmas Carol”. Ottima rappresentazione della mente umana e che permette a chiunque di capire cosa possa significare per un ragazzo/a  omosessuale non essere accettato e non avere qualcuno al proprio fianco che lo sostenga, soprattutto in un’epoca come questa dove queste situazioni spiacevoli sono all’ordine del giorno.  Uno spettacolo dove fortunatamente  trionfa l’amore vero.

VOTO: 8 e mezzo

Danny
         

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